Il mosaico greco e il mosaico romano - Donatella Zaccaria
I PRIMI MOSAICI
I reperti archeologici delle città di Ur e Uruk testimoniano che i Sumeri, nel 3000 a.C., abbellivano le loro costruzioni con decorazioni geometriche realizzate inserendo, nella malta fresca, coni di argilla dalla base smaltata di bianco, nero e rosso, che servivano anche a proteggere la muratura in mattoni crudi. Ornavano poi vasi e altre suppellettili con tasselli di madreperla, lapislazzuli e terracotta. Risale a questo periodo lo Stendardo di Ur, un mosaico portatile a forma di leggìo decorato in una tecnica simile alla tarsia marmorea con lapislazzuli, conchiglie e calcare rosso: le vicende raffigurate sono narrate per fasce sovrapposte.
Anche in Egitto troviamo mosaici di coni di argilla risalenti al III millennio a.C.
Possono essere inoltre considerate decorazioni musive anche le composizioni di pietre dure, pietre preziose e vetro che ornavano i sarcofagi dei faraoni. Si usavano anche mattoni smaltati, come testimonia il tempio di Sethi I ad Abydos, risalente al XIII secolo a.C.
Nel II millennio a.C., in area minoico-micenea, si iniziò ad usare, in alternativa all'utilizzo dei tappeti, una pavimentazione a ciottoli che dava maggiore resistenza al calpestio e rendeva il pavimento stesso impermeabile. Ne è un esempio il mosaico pavimentale di Gordion, antica capitale della Frigia, ora Turchia, risalente all'VIII secolo a.C., decorato con motivi geometrici.
IL MOSAICO GRECO
Le tracce più antiche di una primitiva decorazione musiva in Grecia risalgono al V-IV secolo a.C., con la diffusione di mosaici pavimentali di sassolini, lithostrota, ossia pavimenti di pietra, nati più
con funzioni pratiche che estetiche, per rendere impermeabile e resistente all'usura il pavimento in terra battuta.
La tecnica a ciottoli raggiunge l'apice a Pella, città natale di Alessandro Magno, in Macedonia, nel V secolo a.C.:
nonostante la scarsa gamma di colori, si rappresentano con ottimi risultati animali, scene di caccia, episodi della mitologia. Qui si trova per la prima volta il nome di un autore, Gnosis.
Spesso, veniva inserita una sottile lamina di piombo per evidenziare il contorno dei soggetti o definire piccoli particolari, come si farà, diversi secoli dopo, nelle vetrate policrome del gotico.
A partire dal IV secolo a.C. vengono utilizzati cubetti di marmo, onice e pietre varie, che hanno maggiore precisione dei ciottoli, fino ad arrivare, nel III secolo a.C., all'introduzione di tessere tagliate.
Il mosaico pavimentale conserva le caratteristiche estetiche dei tappeti: di dimensioni ridotte rispetto alla stanza, collocato anche non ortogonalmente alle pareti, è composto da una serie di bordure
intorno a un pannello centrale, detto èmblema, dal greco ΄εμβάλλω (embàllo)= getto dentro, recante un soggetto figurativo.
L'èmblema richiama la marcata
dipendenza del mosaico dalla pittura del tempo, con la quale i mosaicisti gareggeranno, introducendo l'uso di tessere sempre più minute, fino a 1 mm3.
Plinio il Vecchio, nel suo Naturalis Historia, cita il mosaicista Sosos di Pergamo (II secolo a.C.), inventore dell'Asarotos Oikos, “stanza non spazzata”, e dell'iconografia delle
Colombe abbeverantisi, ripresa più volte in ambito romano, come quello di Villa Adriana (Tivoli). L'Asarotos Oikos raffigurava avanzi di cibolasciati sul pavimento, per evidenziare l'opulenza del
proprietario e ostentarne il potere economico, oltre che a nascondere la scarsa pulizia: un'altra teoria sostiene la tradizione di lasciare questi avanzi per placare l'invidia degli spiriti malvagi.
A Pompei resta una copia, risalente al II secolo a.C., della Battaglia di Alessandro, realizzata da Filosseno d'Eretria nel IV secolo a.C.: il mosaico è composto, come nella pittura contemporanea,
in quattro colori: nero, giallo, bianco, rosso.
IL MOSAICO ROMANO
Le prime testimonianze di mosaico a tessere nell'antica Roma si datano attorno alla fine del III secolo a.C.. Successivamente, con l'espansione in Grecia e in Egitto e quindi con gli scambi non solo commerciali, ma anche culturali, si sviluppa un interesse per la ricerca estetica e la raffinatezza delle composizioni.
Inizialmente le maestranze provenivano dalla Grecia e portavano con sé tecniche di lavorazione e soggetti dal repertorio musivo ellenistico, come le Colombe abbeverantisi e i Paesaggi nilotici.
Il mosaico romano diventerà poi indipendente rispetto alla tradizione greca; diffondendosi in tutto l'Impero romano si preferiscono temi figurativi per lo più stereotipati, ma soprattutto motivi geometrici e vegetazione stilizzata, nei quali i romani eccellono.
Considerato inizialmente bene di lusso, quindi non alla portata di tutti, il mosaico ebbe una diffusione lenta. I mosaici bicromi bianchi e neri fecero la loro comparsa nell'epoca adrianea (prima metà del II secolo d.C.) sia figurati che decorativi. Essi vennero impiegati largamente nelle terme, negli ambienti di uso pubblico e nelle abitazioni meno lussuose, combinando la semplicità e economicità con una vastissima gamma di variazioni possibili. I mosaici policromi di derivazione ellenistica erano più rari e si trovavano soprattutto nelle province, specialmente in Africa. I maestri nordafricani, in particolare, esportarono in una villa patrizia della Sicilia, una superficie musiva estesa oltre 3000 m ricchi di colori, riportanti originali scene di vita, di caccia, e di vario genere: questi mosaici, eccellentemente preservatisi al passare del tempo, sono oggi l'attrazione principale di Piazza Armerina (EN) nella splendida Villa del Casale (Mosaico della Grande Caccia ed altri).
Si diffusero anche i pavimenti in commessi di marmo chiamati sectilia, soprattutto negli edifici pubblici o di persone altolocate, come i palazzi imperiali del Palatino a Roma e la Villa Adriana di Tivoli.
I repertori decorativi e cromativi variavano a seconda delle scuole regionali: ad esempio, i motivi geometrici erano tipici delle Gallia, mentre l'Africa settentrionale era specializzata nei mosaici figurativi.
Le tessere, talvolta di dimensioni minutissime, compongono figurazioni riprese dalla pittura, o decorazioni che richiamano l'architettura. Il mosaico diventa parte integrante dell'ambiente dove si trova, influenzando così anche l'iconografia: scene mitologiche nei templi, motivi marini nelle terme, atleti nelle palestre, nature morte o scene dionisiache nei triclini, cani nei vestiboli, soggetti erotici nelle camere nuziali.
I materiali utilizzati sono marmo, pietre di varia natura e paste vitree: in particolare il mosaico in pasta vitrea ha grande raffinatezza tecnica, ma restava subordinato all'architettura.
Il mosaico parietale nacque alla fine della Repubblica, verso il I secolo a.C., nelle cosiddette Grotte delle Muse, costruzioni scavate nella roccia, interrate o artificiali, dove l'elemento principale è una sorgente o una fontana: si rendeva perciò necessario un rivestimento resistente all'umidità anche sulle pareti. A scavi di Pompei ed i scavi di Ercolano era utilizzato anche per rivestire le esedre, nicchie di grandi dimensioni, semicircolari o talvolta poligonali, spesso ornate con una fontana; si ricorda il mosaico di Nettuno e Anfitrite, nella Casa di Nettuno e Anfitrite ad Ercolano, e quello di Venere nella Casa dell'Orso a Pompei: entrambi hanno la particolarità di avere inserite anche delle conchiglie, che richiamano il tema marino raffigurato.
Altri temi affrontati erano episodi mitologici, Venationes, ovvero combattimenti tra uomini e belve, scene di teatro, con attori e maschere, che denotano la particolare abilità dei mosaicisti romani nel ritratto.
Già nel I secolo a.C. il mosaico era talmente diffuso che la qualità impoveriva: era ormai presente in tutte le case, con soggetti comuni e poco curati. Mancava l'inventiva dell'artista: sono opere di artigiani che si accontentano di copiare grossolanamente temi conosciuti. Anche le tessere sono grezze e il disegno risulta poco preciso. In questo periodo si fanno più rari gli emblèmata, poiché la decorazione figurata arriva ad occupare l'intera pavimentazione.
Nel II secolo l'Impero vive un periodo di crisi economica, politica e culturale, che segnò la fine imminente dell'età classica. Questo cambiamento si rifletté anche nel mondo dell'arte, con la rottura con la tradizione ellenismo e la nascita di un nuovo linguaggio formale. Si nota un orientamento verso l'astrazione, con forme più essenziali e un uso ridotto del colore. Le prime composizioni in bianco e nero derivano da un nuovo gusto cromatico ma anche per risparmiare sui materiali. Ad Ostia e nella Villa Adriana a Tivoli l'astrazione è favorita dalla diffusione di neoplatonismo e orfismo: secondo queste dottrine l'immagine deve superare la realtà e suggerire il soprannaturale.